Sarmeola di Rubano è un piccolo paesino poco fuori Padova, qui sorge il ristorante Le Calandre, 3 stelle Michelin dal 2002.
Uno dei templi sacri della cucina italiana e mondiale, a guidarlo un fuoriclasse, Massimiliano Alajmo. Massimiliano però non è solo, accanto a lui ci sono il fratello Raffaele e tutta la famiglia. Del resto la prima Stella Michelin l’ha conquistata la madre nel 1992.
La Storia
Massimiliano Alajmo, classe 1974 si diploma all’alberghiero di Abano Terme, importantissime sono le esperienze francesi, in particolare da quel pazzo stregone di Marc Veyrat (che lascerà un’impronta indelebile sulla cucina di Massimiliano) poi dal più classico Michael Guerard a La Pres de Eugenie.
Nel 1993 rientra in Italia e assieme al fratello Raffaele, lancia anima e corpo nell’avventura culinaria de Le Calandre. Prima la riconferma della stella, poi la seconda e poi nel 2002 anche la terza stella, che peraltro gli vale il titolo di più giovane chef tristellato di sempre!
La Cucina de Le Calandre
Ma cosa si mangia di così interessante a Le Calandre per fare di un ristorantino in un edificio non particolarmente attraente, senza una storia dietro e affacciato su una statale… una delle mete gourmet più richieste al mondo? Beh, cercherò di rispondervi in questo report.
Chef Alajmo utilizza spesso un termine per descrivere la sua cucina: Fluidità. E la fluidità è il filo conduttore della sua cucina in effetti, sia reale e tastabile con salse e centrifughe ma anche “filologica”, ossia sviscerata nei suoi significati più metaforici e filosofici. Non è assolutamente facile descrivere la cucina di Massimiliano ma provando i piatti questo concetto si palesa più chiaro che mai.
Le lezioni della scuola francese e di quella del Maestro Marchesi sono chiare nella cucina di Massimiliano, la materia prima è padrona, è sacra. E da quella si parte sempre, ma Massimiliano è un abile alchimista e la materia la riesce a trasformare senza snaturarla.
Da un lato la ricerca scientifica e ossessiva di una mente precisa e metodica, dall’altro l’approccio infantile e genuino di un cuore di bambino. Quindi tecnica e scienza si fondono con emotività e gioco.
Vien da sé che il risultato non può che essere unico, forse l’unico ristorante di questo livello in cui ci si diverte letteralmente, si gioca.
La Location e la sala de Le Calandre
Probabilmente la sala a Le Calandre è una delle più interessanti d’Italia. La location da fuori non lascia immaginare l’ambiente soffuso e raccolto nascosto all’interno.
Niente tovaglie lunghissime, niente calici altissimi, niente rifiniture in oro, ma arredamento quasi da bistrot con gomitoli di lana al centro del tavolo a riprendere il concetto di filo che ci lega tutti attraverso la cucina.
Il servizio è strepitoso. Camerieri e sommelier giovani ma preparatissimi. Niente facce tristi e figuri impettiti, ma volti sorridenti e pronti alla battuta. La puntualità e la precisione del servizio però sono sicuramente da tre stelle. Il clima che si instaura è rilassato, oserei dire giocoso.
Imponente il lavoro del sommelier Matteo Bernardi, che si destreggia benissimo nonostante la vastità della cantina, e lo fa con una conoscenza sorprendente. Preciso è anche il servizio del vino al tavolo, con tutte le accortezze che si ritrovano solo nei grandi ristoranti.
I Menù de Le Calandre
I menù de Le Calandre sono 3, tutti al costo attuale di 250 euro (di solito costano 225 ma in stagione viene messo sempre in conto qualche piatto con il tartufo bianco); e constano di circa 11 portate. È possibile anche comporre un menù scegliendo 3, 4 o 5 portate.
La cantina è vastissima, raccoglie circa 1000 etichette, e viene presentata su un comodo Ipad, forse con meno fascino di un librone rilegato in pelle, ma sicuramente più comodo sia da maneggiare che da sfogliare. Notevole la scelta al calice.
Il Nostro Menù
I menù sono “I classici”, “Max” e“Raf”. Quasi impossibile sceglierne uno solo, ma fegato e portafoglio si uniscono nel suggerire che mangiare 3 menù da 11 portate potrebbe essere letale. Alla fine la scelta ricade su “Max”, il menù più improntato sul mare.
Prima di iniziare un breve aperitivo, poche preparazioni ma dai sapori a dir poco esplosivi.
Un cuscinetto croccante farcito con gelato di ventresca di tonno completato dalla bottarga, incredibili i contrasti di consistenze, con il gelato che letteralmente esplode in bocca.
Poi un cappello di pane carasau con crema di carciofi e liquirizia, anticipazione di alcuni abbinamenti poi ripresentati nel menù degustazione.
Infine zucca in tempura.
Gli Antipasti
Il menù vero e proprio si apre con un tripudio di freschezza, un carpaccio di astice con insalata di funghi prataioli, su una crema fredda di avocado al bergamotto, completato poi al piatto da una centrifuga di mela verde.
Piatto estivo nei ricordi evocati. La freschezza fa da protagonista, con le note agrumate e amare del bergamotto che contrastano con l’opulenza dell’astice e la grassezza vegetale dell’avocado, i prataioli crudi donano un tocco croccante al morso.
La pulizia finale del palato è data dalla centrifuga invece, piatto ottimo per cominciare, rinfresca, pulisce e prepara ad un menù ricco e interminabile.
Segue un piatto geniale che ben rappresenta la cucina di Massimiliano: la “scarpetta” di canocchie, carciofi e bottarga.
Doppiamente scarpetta, perché il supporto del piatto è proprio una scarpetta di cristallo, in cui naturalmente bisogna fare scarpetta con il pane servito in accompagnamento.
Temperature di servizio volutamente basse, consistenze morbide e fluide sempre contrastate da un tocco croccante, questa volta dato non solo dal pane ma anche dai carciofi.
Qui la scarpetta preme sull’acceleratore dei gusti: sapido, iodato, ma anche dolce. La portata è servita quasi fredda come dicevo, con il risultato di aumentare moltissimo i profumi del piatto, le consistenze poi donano una persistenza importante al palato. Incredibile.
Segue un wafer di semi con gelato di latte di polpo e tartare di barbabietola profumata alla lavanda. Un croccantissimo wafer di Perbelliniana memoria (a sua volta ispirato a Bernard Pacaud de l’Ambroise a Parigi) , fa da contenitore ad un gelato fatto di latte di polpo.
Qui la preparazione è assai complessa, infatti “latte” di pesce è una terminologia che Massimiliano utilizza per definire i liquidi ottenuti dalla cottura nel forno a pressione, ma metto le mani avanti perché colto dalla bontà del piatto non ho chiesto conferma di tale mia ipotesi! In ogni caso tornano nuovamente i contrasti di consistenze e la persistenza aumentata dei sapori al palato.
Notevole anche questo piatto, da mangiare rigorosamente con le mani.
I Primi Piatti
Si passa ai primi. Un piatto classico non può mancare, ecco allora i cappellacci di zucca in brodo di funghi con tartufo bianco. boccone di tradizione e lusso, un piatto buonissimo nella sua semplicità.
Segue un piatto decisamente più particolare nell’elaborazione. Si tratta di “peperoni” di pasta, ripieni di ricotta, con brodo di zafferano, carciofi fritti e liquirizia. Un piatto in cui si intravede un marchio di Massimiliano, ossia l’abbinamento di zafferano e liquirizia.
Non che l’abbia inventato lui, ma sicuramente è uno degli chef che meglio ha espresso le potenzialità di questo abbinamento di sapori poderosi, a partire dal celeberrimo risotto che spesso cambia forma ma non essenza.
In ogni caso questo piatto è composto utilizzando un formato di pasta realizzato solo per lo chef dal pastificio Verrigni.
I peperoni son farciti con ricotta di pecora e adagiati su un brodo ristretto di zafferano. Carciofi fritti alla perfezione e una spolverata di liquirizia completano un piatto pieno di contrasti in perfetto equilibrio, sapori incisivi son perfettamente bilanciati creando uno dei bocconi più golosi di tutta la degustazione.
Segue un intermezzo vegetale tanto sorprendente quanto gradito. Il radicchio rosso, “glassato” con una salsa di barbabietola lievemente piccante, e accompagnato da una crema di estragone e una di soia.
Piatto dai pochi ingredienti, ma elaborati in maniera molto complessa, giocato sull’amaro del radicchio e la dolcezza della barbabietola che fanno sa sostegno a sferzate di sapore che vanno dalla sapidità, al piccante all’erbaceo. Un piatto vegetale estremamente interessante.
I Secondi Piatti
Si passa ai secondi, partendo dalla triglia alla Luciana. Un filetto di triglia succulento appena scottato tra due cialde di pane, adagiato su una patata “masticabile” alle erbe e terminato con una maionese all’acqua di pomodoro. Un piatto che riporta il palato su lidi più rassicuranti e tradizionali, probabilmente il piatto meno incisivo della degustazione, ma sicuramente un buon piatto.
Segue una cannonata: dotto con crema di seppie, ostriche, anguilla affumicata, gelato di cipolla rossa, caviale. A leggere gli ingredienti ci si aspetta un’esplosione di gusti davvero importante. Sono decisamente tutti sapori molto decisi, quasi estremi.
Invece il piatto alla fine si rivela di eleganza estrema (forse anche troppo, il sapore deciso di mare viene un po’ smorzato). Resta il fatto che la cottura del dotto è magistrale e originale con il carbone vegetale a ricreare l’effetto della pelle. La crema di ostriche e anguilla affumicata è ottima.
Il gelato di cipolla rossa con il caviale ha l’effetto di pulire il palato senza che si perdano i sapori marini e iodati della preparazione.
Un piatto estremamente complesso e ricco che richiede forse una certa preparazione per poterlo apprezzare del tutto, ma del resto è proprio in piatti del genere che emerge tutto il genio di Massimiliano.
Segue un salto nella tradizione, naturalmente con tecniche aggiornate. Guancia di vitello al vino rosso, con tartufo nero e sedano rapa. Un piatto in cui a far da padrona è la golosità. La guancia è morbidissima e saporitissima, la salsa a base di porto e marsala è semplicemente perfetta, ottimo il purè di sedano rapa al tartufo, morbido e avvolgente ma con una nota di freschezza tipica del sedano rapa. Termina alla grande la parte salata del menù degustazione.
I Dessert de le Calandre
Si passa ai dolci.
Prima un pre-dessert alquanto originale, crema cagliata di pala di fico d’india e granita di menta e liquirizia. Al sud la pala di fico d’india si utilizza per diverse preparazioni, ma per me era la prima volta.
La base del piatto è il latto di mandorla che viene “cagliato” sfruttando le proprietà testurizzanti della pala di fico d’india. Sapori dolci, amari e vegetali vengono contrastati dalle note fresche e pungenti di menta e liquirizia, aumentate dalla temperatura fredda della granita. Il risultato è un effetto “dentifricio” assai piacevole e divertente, che pulisce davvero il palato preparandolo per i dolci, ma agisce anche a livello mentale richiamando la sensazione di pulizia dopo essersi lavati i denti. Incredibile.
Il dolce del nostro percorso di degustazione è praticamente un menù a parte. Si chiama “Gioco al Cioccolato 2017” e qui emerge tutta la poetica di Massimiliano, questo dolce ha scomodato nella mia mente richiami poetici e pittorici. La necessità di dare spazio al “fanciullino” interiore di Pascoli, ma anche la famosa citazione di Picasso sull’averci impiegato una vita a dipingere come un bambino.
Il Gioco al Cioccolato di Massimiliano è esattamente quello che il nome promette, un gioco. Sono ben 17 differenti preparazioni che hanno come base il cioccolato. Il cliente viene aiutato dal personale in sala a degustare le prime bendato e con i tappi nelle orecchie per meglio apprezzare i sapori.
Per fare una cosa del genere serve una sala davvero spettacolare, il cliente si affida ciecamente (letteralmente!) ai camerieri. Il risultato è sorprendente, dai piaceri infantili di mangiare con le mani e di sporcarsi (si viene anche muniti di bavaglino!), ai piaceri quasi erotici dati dai sapori intensi delle preparazioni.
In rapidità : frollino al curry, zuppa degli inglesi, mandorla salata, ganache espressa e banana alla cannella, fiocco eccezionale, pjpa whiskey sour al frutto della passione, cialdina di ricotta alla tonka e tabacco, sandwich di frutta e fiori, cioccolatino liquido alla verbena, cremoso di cioccolato bianco al caffè, anice e liquirizia, cannolo di nocciole, cioccolatino liquido allo zafferano e liquirizia, pjpa alla mela sedano e cachaca, limone di Siracusa e l’ultima preparazione era un crema mani a base di cacao!
Puro godimento. Le preparazioni sono tantissime, alcune semplici alcune estremamente tecniche, ma tutte semplicemente buonissime, con sapori a volte armonici e gentili a volte esplosivi.
Si termina con una piccola pasticceria, in cui non manca il lusso, come ad esempio il mini bignè con cioccolato e tartufo bianco, ottima anche la tartelletta con crema pasticcera e mela.
Conclusioni
Le Calandre è il cuore pulsante di un vero e proprio universo gastronomico fatto di diverse realtà in costante sviluppo e ampliamento. Dai locali vicini come il Calandrino e la Montecchia, a quelli a Venezia (Quadri e Amo), arrivando addirittura a Parigi con il Cafè Stern e un misterioso nuovo locale estero che aprirà a breve, ma di cui ancora non si sa la collocazione geografica.
Una cucina, quella de Le Calandre, fatta di solida sostanza mascherata sotto un velo di illusioni e di giochi, dove i sensi vengono stravolti ed ingannati per creare sorprese piacevoli e divertenti. Di sicuro una scelta coraggiosa quella di “giocare” così, qualcuno l’ha criticata, ma i risultati sono strabilianti. Mangiare alle Calandre è un’esperienza goduriosa, divertente e piacevole che va fatta almeno una volta!
Ristorante Le Calandre
Via Liguria, 1, 35030 Sarmeola di Rubano, PD
info@alajmo.it – www.alajmo.it
No Comments